Si’, si continua!

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Concludendo…

Il mio viaggio e’ finito.
Ho visitato 38 isole:
1 Nuova Caledonia
2 Port Villa
3 Tanna
4 Pentecost
5 Ambrym
6 Santo
7 Tahiti
8 Rajatea
9 Tahaa
10 Huahine
11 Bora Bora
12 Rangiroa
13 Tikeau
14 Nuku Hiva
15 Hua Huka
16 Ua Pou
17 Hiva Oa
18 Tahuata
19 Raratonga
20 Aitutaki
21 Tetiaroa
22 Morea
23 Mataiva
24 Ahe
25 Manihi
26 Takaroa
27 Takapoto
28 Fakarawa
29 Niau
30 Apataki
31 Raivavae
32 Tupuai
33 Rurutu
34 Rimatara
35 Ile des Pins
36 Ouvea
37 Lifu
38 Mare’

Alcune 2 volte:
1 Rajatea
2 Tahaa
3 Huahine
4 Bora Bora
5 Rangiroa
6 Tikeau
7 Nuku Hiva
8 Hiva Oa
9 Raratonga

3 volte:
Nuova Caledonia

4 volte:
Port Villa
Moorea

Sono andata e venuta 12 volte:
Tahiti

Ho viaggiato salendo su 44 aerei dei quali:
4 intercontinentali
7 internazionali
33 per le isole:
3 in Nuova Caledonia
3 con il 2o pass per le isole Marchesi
5 con il pass per le isole Australi
2 alle isole Cook per Aiututaki
2 sull’aereo privato per Tetiaroa
5 con il 1o pass per le isole Marchesi
6 con il pass Bora Bora-Tuamoutu
7 alle Vanuatu
Spendendo in totale 3.683 euro più le tasse del volo intercontinentale, 287 euro, in tutto poco meno di 4.000 euro.

2 navi con le quali ho visitato 10 isole dell’arcipelago delle Tuamoutu e 5 isole dell’arcipelago della Societa’.
3 traghetti
1 Raiatea/Tahaa
4 viaggi Tahiti/Moorea/Tahiti
1 Noumea/isola dei Pini/Noumea
1 Lifou/Mare’
Spendendo 39.760 cfp pari a 333 euro.

Viaggiare in nave e’ molto meno caro, ma ha i suoi svantaggi e non sempre e’ possibile!

Ma tutto questo non e’ niente, nulla rispetto all’esperienza ed agli incontri che si sono accumulati in questo periodo, alle scoperte, alle sensazioni ed a quanto sono riuscita a capire.
Capire del mondo ed anche di me, capire le cose semplici e quelle più complesse che si celano e spesso sono difficili da sbucciare, come un riccio di mare, ma il loro gusto può essere forte e succoso.

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“Lasciati dietro le cose negative e ricorda solo le belle” mi ha detto Suor Federica quando ci siamo salutate con affetto profondo, “No,” ho risposto, “ma le ricorderò solo per evitare di commettere gli stessi errori!”
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Questo viaggio mi ha profondamente cambiata, mi ha portato ad avere una consapevolezza nuova, ad essere in contatto con la mia anima. Gli amici mi guardano e si chiedono se mi sia innamorata, se abbia incontrato qualcuno, un bel polinesiano muscoloso, chissà!
La verità e’ che sono finalmente entrata in contatto con quella parte profonda e celata del mio essere che tanto spaventa guardare, chissà perché. La parte più profonda e nascosta della nostra anima, quella che bell’uomo moderno e’ sempre più celata come il punto celato di un labirinto. La parte di anima che il “buon selvaggio” riconosce in se come la parte divina che e’ custodita all’interno di noi.
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In questo viaggio ho scoperto un tesoro, il tesoro della mia anima.

Al mio ritorno comincerò a lavorare sui testi del blog per cucirli insieme in una storia, una storia che pubblicherò nel mio primo libro.

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E chi lo avrebbe mai immaginato che al mio rientro Roma fosse coperta da un manto di neve?
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poco dopo il mio arrivo, seconda intervista: http://youtu.be/4z06BPLxuN0
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Le due sorelle

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Le due sorelle sono estremamente graziose, vivono in villette fiorite, nella capitale, dove ogni angolo è attentamente curato e decorato, un susseguirsi di fiori e fiocchi! Anche se, da brave ex colone, solo loro stesse che grattano e dipingono le mura di casa, nel dolce color salmone dalle lievi sfumature; nulla di ciò che le circonda fa pensare alle prove che la vita ha messo loro davanti, a quegli anni bui, gli anni degli “avvenimenti”.
La loro famiglia era saldamente installata a Thio, i genitori il figlio e le tre sorelle, gente molto perbene; abitavano in una villa che aveva un magnifico affaccio sulla laguna con la montagna alle spalle, a fianco della casa passava un “kreek” un tenero ruscello nelle cui pozze ci si poteva rinfrescare dalla calura completamente circondati dalla piante lussureggianti e si poteva fare il bagno anche senza vestiti, tanto la vegetazione era fitta ed impenetrabile ad ogni sguardo. Nella baia passavano le navi pronte a caricare in nichel, grande risorsa della Nuova Caledonia e con il suono della loro sirena movimentavano il trascorrere sereno di quella vita che scorreva serena.
Ma le cose sono cambiate, “Le persone non si riconoscevano più”, mi raccontano, “Non avrei mai immaginato simili cambiamenti!” perché la popolazione di razza Kanaki, a lungo schiacciata da molti francesi, ad un certo punto ha smesso di sopportare, e si è rivoltata, senza considerare, o considerando solo in parte chi aveva avuto un comportamento corretto verso di loro. E sono sorti i primi posti di blocco, i ribelli sbarravano le strade con del bambù per impedire il passassaggio, una sentinella doveva decidere se far passare o meno le vetture, se guardare o meno cosa ci fosse dentro le macchine, a caccia di armi o chissà cos’altro; e si divertiva a fare aspettare, a lasciare i poveretti sotto il sole in ansia per una fucilata che poteva partire senza motivo da un momento all’altro, quattro, cinque, dieci interminabili minuti, prima di decidersi a uscire dal suo rifugio per alzare la sbarra. Naturalmente non era possibile compiere le azioni più semplici senza passare dai posti di blocco: ritirare la posta, comperare un po’ di cibo… Anche se l’elicottero della Gendarmeria girava, girava, girava, era solo per monitorare gli eventi: gli abitanti vivevano da semi prigionieri! Di tanto in tanto qualche abitazione era messa a fuoco, con grande pena della famiglia che ci aveva abitato, spesso avvenivano incursioni, i ribelli erano in cerca di armi, di fucili da caccia, minacciavano, razziavano e solo grazie alla direttrice della scuola, dove era passato tutto il villaggio ed alla sua autorità la banda che ha cercato di entrare nella bella casa fiorita dove una sorella era rimasta da sola (gli altri membri della famiglia lavoravano altrove ed i genitori erano mancati) solo grazie al suo cipiglio è stato possibile evitare la tragedia in quel momento.
Ed una notte terribile, un’esplosione seguita da una fiammata sull’acqua ha creato un forte sgomento: i proprietari di un bel battello lo avevano distrutto essi stessi per non lasciare nulla in mano dei ribelli.
Ma la beffa è stata grande, quando tutto era finito e la casa aveva superato i terribili rischi di distruzione nel periodo degli “avvenimenti”, dopo che la sorella maggiore vi aveva investito tutti i risparmi del lavoro di una vita per sistemarla ed ingrandirla, è stato proprio in quel momento che una telefonata ha annunciato l’avvenuto disastro, la distruzione.
E mi mostrano un collage di foto, su di un lato quelle del padre, la villetta che ospita la famiglia felice, i fiori, i bimbi in giardino poi con tristezza girano il foglio e mi fanno vedere ciò che è rimasto: le immagini dei crolli e delle distruzioni, con qualche scritta di rivendicazione sulle mura annerite.
Oggi la Nuova Caledonia e’ un paese nel quale sono presenti numerose razze, in particolar modo nella capitale Noumea; sono stati firmati accordi e trattati che possono permettere ad ognuno di avere spazi e diritti:
la mia speranza e’ che in questa isola dalla natura magnifica e dalle grandi ricchezze tutte le varie etnie riescano a coabitare armonicamente insieme, con le proprie similitudini e diversità, e che questo piccolo mondo multietnico sia di grande esempio al mondo intero.

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Nichel

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Bagno, libero?

20120205-194428.jpgLa Francia prende il possesso della Nuova Caledonia il 24 settembre 1853, fino a quel momento l’isola era abitata da 4000 anni dalle tribù indigene d’origine melanesiana: i Kanak. Dal 1864 al 1897, la Nuova Caledonia viene utilizzata come penitenziario.
I primi 248 «Trasportati» (muratori x costruire strade ed edifici) arrivano a Port-de-France (il vecchio nome di Noumea Nu = isola, mea = delle sardine) il 9 maggio 1864 a bordo dell’Iphigenia, stipati nella stiva in gabbie da 20/25 persone, impiegando dai 4 a 6 mesi di viaggio.
In tutto vennero effettuati 75 viaggi che portarono, tra il 1864 ed il 1897, circa 21.630 matricole ai bagni penali.
Il vantaggio della Nuova Caledonia rispetto alla Guyana, dove circa il 70% dei deportati moriva, era il clima molto più salubre e la totale assenza di piante od animali mortali.
I «bagnards» o «cappelli di paglia» si potevano dividere in 3 tipologie:

I «Trasportati», i più numerosi, chiamati anche «forzati» perché condannati ai lavori forzati, fino all’ergastolo per crimini di diritto comune che potevano andare dal semplice furto all’assassinio; sono per la maggior parte nel penitenziario dell’isola di Nou; costruiranno le strade e gli edifici della colonia.

I «Deportati»: condannati politici, quasi tutti partecipanti alla “Commune” di Parigi del 1871, per questo soprannominati «Communards». 4.250 inviati a partire dal 1872 nel penitenziario dell’Isola dei Pini, o i più pericolosi di Ducos; fra loro nomi celebri come Louise Michel o Henri Rochefort. Otterranno l’amnistia nel 1880 che li autorizzerà a partire: meno di 40 famiglie resteranno nella colonia: in caso di condanna inferiore a 5 anni potevano rientrare in Europa, ma con il viaggio a loro carico, mentre i familiari potevano raggiungerli gratuitamente.
In questa categoria rientrano anche i partecipanti alla rivolta del Mokrani del 1871 in Algeria: sono alcune centinaia di Algerini del Pacifico, la maggior parte, malgrado una amnistia nel 1895, fonderanno le famiglie caledoniane di Nessadiou e Bourail.

I «Relegati» i recidivi, a partire dal 1885; in totale più di 3.300 uomini et 457 donne relegati mandati a «la Nouvelle», a l’Isola dei Pini, Prony o a La Ouaménie ed a Boulouparis. Le donne erano sotto la sorveglianza delle suore che procuravano loro un marito scelto fra gli ospiti maschili dei bagni; i loro figli avevano accesso a scuole speciali, non insieme agli altri bambini del paese.

Una volta finiti i lavori forzati, i condannati dovevano raddoppiare gli anni della pena prevista per loro lavorando nelle fattorie penitenziarie e, una volta finito questo periodo erano finalmente liberi e potevano ottenere le terre in concessione, questo per chi fosse stato condannato a pene inferiori ai 5 anni. L’amministrazione penitenziaria era riuscita a possedere un importante latifondo grazie alle terre dei Kanak, arrivando a sottrarre alle tribù fino a 260.000 ettari. I centri penitenziari saranno chiusi nel 1922 e nel 1931, ma numerosi discendenti dei «liberati» resteranno nelle concessioni dei loro antenati.

Gli uomini liberi arrivarono grazie alla colonizzazione Feillet, dal nome del governatore Paul Feillet, che decise nel 1894 di «chiudere il rubinetto d’acqua sporca» della colonizzazione penale e lanciare una vasta campagna di propaganda in Francia per attirare coloni e sviluppare la coltura del caffé in piccole proprieta’ (da 10 a 50 ettari). 500 famiglie in tutto furono attirate verso la Nuova Caledonia tra il 1894 e il 1903, per un totale di circa 1.500 persone. Questa operazione si rivelerà uno scacco relativo: le famiglie arriveranno spesso senza capitale o con meno di 5.000 franchi, verranno inviati in terreni isolati e li’ abbandonati a dissodare la foresta ed as adattarsi al clima tropicale. Il 50,5% dei coloni Feillet resisterà nelle terre assegnate, il 26% rientrerà in Francia, il 19,3% si occuperà di altre attività sempre in Nuova Caledonia e il 4,2% morirà senza lasciare figli. Se il 40,2% delle famiglie si e’ installato sulla la costa ovest (sulle vecchie proprietà penitenziare, come a La Foa, o all’estremo nord, come a Kaala-Gomen od a Voh), la maggior parte era nelle terre disabitate della costa est.20120205-194735.jpg20120205-194749.jpg20120205-194808.jpg

Ma la cosa più divertente della visita ai “bagni” penali e’ la passione di Alan Ford (che nome, vero?) il francese che ci ha accompagnato e spiegato luoghi e storia, la sua passione ed ammirazione per Henry Rochefort che riuscì a evadere dal bagno penale nel marzo 1874, salire a bordo di una baleniera fino all’Australia per poi tornare in Europa su di una nave inglese dopo aver trascorso qualche tempo negli Stati Uniti; la sua fuga ispirò un famoso dipinto di Manet. Dopo una sosta a Londra Rochefort si stabilì a Ginevra prima, a Parigi poi in seguito ad un’amnistia e continuo’ tutta la vita la sua attività politica.
Grazie alla massoneria che lo finanzio’ in quanto membro, la sua fu l’unica, dico l’unica evasione riuscita, su 100.000 tentativi vani!
Ed Alan Ford ci si propone con capelli, barba e baffi tagliati come il suo mito, aiutato anche da una notevole somiglianza fisica.
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Disordini

La partenza da Lifou ha rischiato di annullare in un attimo le belle giornate passate in tribù. Ero da sola davanti al grande catamarano arancione quando un uomo a torso nudo con la schiena sporca di sabbia chiara e’ arrivato di corsa con una pietra in mano. Come quella volta a Gerusalemme quando mi sono trovata in mezzo ai disordini sono diventata invisibile, ho cercato in un soffio di diventare puro spirito, impercettibile, anche se di solito non passo troppo inosservata. Non capivo se fosse un folle e quindi relativamente pericoloso o se stesse per accadere qualcosa, se fosse il gesto di un ubriaco o l’inizio di un’azione organizzata. L’uomo mi e’ passato davanti senza degnarmi di uno sguardo “Ce l’ho fatta, sono invisibile!” ed ha tirato la pietra sullo scafo della barca che ancora stava facendo manovra, urlando con rabbia nella sua lingua. Dal fondo del molo e’ spuntata una bandiera Kanak, l’importante bandiera tanto densa di significati; confesso, in quel momento ho avuto paura. Lentamente mi sono spostata indietro per nascondermi in mezzo alla gente, cercando qualche volto rassicurante; la baruffa continuava, altre persone si erano unite alla protesta, un giovane uomo con un bambino piccolo in braccio ed un altro sulla sessantina ben vestito e pelato mi sono sembrati gli interlocutori ideali, mi sono accertata che parlassero la lingua locale, in Nuova Caledonia ogni tribù o quasi parla una lingua diversa da quella vicina, volevo qualcuno in grado di capire cosa stesse accadendo, in grado, se necessario, di correre ai ripari, di correre! L’uomo più anziano mi ha rassicurata: “Sull’isola siamo per la tranquillità, la maggior parte di noi non vuole scontri, e’ il gesto di un ubriaco.”
Ma intanto le scaramucce si ripetevano, cessavano e riprendevano inesorabilmente e la bandiera appariva e scompariva ritmicamente. Sono salita sul traghetto in mezzo ad un gruppo di donne che, come me, avevano evitato la vicinanza dei ragazzi con la bandiera, gia’ stavamo per affrontare il mare, notevolmente mosso per quel giorno, altre complicazioni proprio non ci volevano! Ed e’ andata bene, sull’isola dove più sono stata coccolata dalla famiglia del luogo, la partenza e’ stata brusca, la navigazione tempestosa, ma sono arrivata sull’isola seguente accolta da un raggio di sole che illuminava la laguna dai magnifici toni turchesi.

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La forza

Il pilastro centrale rappresenta il capo famiglia, senza di lui la comunità crolla, come crollerebbe il tetto della case senza il suo sostegno.”
“Si, Mariette, lo so bene! E’ proprio Quello che e’ successo alla mia famiglia, senza il pilastro ognuno se n’e’ andato per la propria strada, a cominciare da me!” Penso silenziosamente mentre visitiamo la case del Grande Capo il Capo di tutta l’isola di Lifou.
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Mariette davanti al pilastro centrale

Sono finita ospite di una famiglia, grazie a Mariette, una melanesiana bionda ora in pensione, che ha lavorato tutta la sua vita al manicomio di Neuville, la casa e’ di Noè ed Elise, sua cugina, sono persone accoglienti e squisite, si vede la bontà nella bellezza dei loro occhi, hanno 5 figli, uno disabile fisico e mentale, lo seguono teneramente, anche se non e’ affatto facile: “Il ragazzo e’ fortunato ad avervi come genitori, siete all’altezza di questo impegno”, sossurro ad Elisa, quanti genitori non ce la farebbero ad accettare questa croce, loro riescono ad essere sereni, Elisa compie ogni suo atto con estrema naturalezza: guida, fa la spesa, cucina, carica e stende una lavatrice dietro l’altra, segue tutta la numerosa famiglia che alloggia da lei sull’isola, dando l’impressione di non fare nulla, coi suoi gesti moderati ma attenti.
Nella sua casa in una “case” in paglia in questi giorni dorme una banda di ragazzi e ragazze, i suoi fratelli, cugini, nipoti che stanno costruendo altre “case” per altri membri della loro tribù, una sorta di lavori comunitari che mettono allegria e tengono i giovani lontani da ben altri problemi.
Elisa e’ una donna eccezionale, sono contenta di averla incontrata, abbiamo immediatamente simpatizzato e sono sicura che resteremo in contatto!

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Elise
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Parte della famiglia davanti alla “case”
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“case” in costruzione

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Anno

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Quest’anno il mio compleanno capita con una strana coincidenza, sarà il giorno del Tet, il capodanno vietnamita. La festa dei morti, della famiglia, della speranza, della primavera, un miscuglio di culti religiosi e di riti pagani; il Tet e’ la festa dei vivi e dei morti: il primo giorno e’ riservato al culto degli antenati, il secondo ai parenti prossimi ed il terzo e’ ancora consacrato ai defunti. Il 22 gennaio, ancora un anno rubato per me; il 23 gennaio, che strana coincidenza, l’ultimo giorno, l’ultimo respiro e tanto, tanto dolore. Il ricordo di una voce lontana che mi chiama per gli auguri, poi il nulla, la fine.
La vita, la morte.
E’ passato un altro anno, un anno in più per me che, anche se invecchio non trovo pace, mi aggiro inquieta per il mondo, sempre di più e sempre più lontana, con idee, mete e nuove sfide, e con un nuovo senso di libertà, la libertà che piano piano mi sto guadagnando lottando contro una vita che non sento più mia e liberandomi in questo cammino di tutti i pesi superflui, di tutti i condizionamenti, del non sentirmi accettata, del dover fare per essere e per poter piacere. Piano piano le ferite si chiudono e guariscono, più lentamente se sono profonde, molto più lentamente, ma prima o poi si guarisce e mi auguro che questo avvenga presto.
Allora sarò pronta ad amare di un amore puro, uscirò dalla spirale dell’amore malato, troverò qualcuno che mi accetta per come sono, la smetterò di incaponirmi con chi, per un motivo o per un altro, non mi vuole e continua a farmi sentire addosso quel pesante senso di inadeguatezza. Aspetto quel giorno e non ne vedo l’ora, mi aspetto e desidero una serena vecchiaia felice.

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Ai 3 baniani

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La casa e’ piena di bambini, piccole creaturine un “po’ colorate”, come diceva mio figlio quando era bambino ed abitavamo in Africa, corrono, saltano, ma puliscono, apparecchiano, spazzano… Scopriro’ che sono ospiti di Rosemarie e del nero marito come famiglia d’accoglienza, loro hanno una sola figlia, i bambini in difficolta’ servono come mano d’opera per la pensione, anche se bisogna sempre gridare, stare loro addosso, chissà se li picchiano o se mangiano sufficientemente… Visto il carattere della proprietaria, scorbutica anche con chi paga qualche dubbio viene, e’ naturale!
La scorsa notte all’alba, qualcuno ha bussato con insistenza alla mia porta, mai aprire, e’ la regola, ed ho pazientemente aspettato che se ne andassero, contenta di aver chiuso le finestre per limitare il nugolo di zanzare nella mia case, e sentivo gli effluvi della cannabis entrare dalle fessure della porta.
“Non bisogna viaggiare da sole” mi hanno detto le due ragazze di Pondimie’, ma stai a vedere che adesso e’ colpa mia, ma gentilmente, l’ultima sera mi hanno accolto nella loro camera. Sara’ la mia notte migliore all’isola dei Pini, grazie anche ad uno zampirone che ha ben fatto la sua funzione.

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Ballando il “pilu pilu”
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La case
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Totem

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Fieri di essere Kanak

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Kanak, Caldoche, Zoreille… Ecco i nomi degli abitanti della Nuova Caledonia, o meglio, i soprannomi non troppo gentili: escluso il primo, di cui l’etnia va fiera e rivendica l’indipendenza dalla Francia, gli altri due sono dispregiativi, come quello attribuito a noi italiani: Les Erital, una sorta di campagnoli che arrivano con la valigia di cartone piena di salame e formaggio! Ho scoperto casualmente che il termine Caldoche fosse dispregiativo, la mia guida ed anche Wikipedia recitano che la Caledonia e’ abitata da Kanak e Caldoche, non potevo immaginare fosse un antipatico nomignolo affibbiato ai ricchi coloni che si aggirano su grossi pick up, proprietari di terre immense. “Allora voi siete Caldoche” ho detto alle due sorelle quando le ho conosciute, “No, no, non si dice così!” E fortunatamente hanno capito le mia buona fede e non si sono offese, poteva facilmente crearsi un incidente diplomatico!
Il termine Zoreille ha svariate spiegazioni, quella che mi piace di più e’ che il caldo fa arrossire le orecchie dei nuovi arrivati dal “metropole”, dalla Francia ed ecco, dalla parole “oreille” leggermente storpiata questo nome. Meglio questa spiegazione che quella sanguinaria che ricorda le orecchie tagliate per punizione a schiavi e servitori disobbedienti. In Polinesia, invece, i bianchi sono chiamati “Popa’a” traduzione bruciati, sempre per l’effetto del caldo sole sulle candide pelli nordiche. Ma io no, non sono Popa’a, il colore della mia pelle e’ gradevolmente ambrato, grazie ai cromosomi della mia nonna sarda e non voglio, non mi piace essere chiamata così. Non so se sia presunzione, ma in Polinesia mi sento al mio posto, a casa mia ed ho fatto ridere le anziane donne delle isole australi quando ho affermato questa mia realtà. L’hanno accettata, non sentivo più questa parola quando passavo, ma un “taliano” leggermente storpiato, sono “taliana”, come ci chiamava anche l’uomo corallo di Tikeau, ridendo felice.
In questo paese multietnico sono presenti i “bico”, agnello, gli arabi, la maggior parte algerini qui deportati come prigionieri, la più parte residenti ancora oggi nella regione di Bourraille a Nessadiuc, localita’ con terre fertili che montano fino al passo appunto detto degli arabi.
L’ultimo soprannome e’ per la razza indonesiana, in Caledonia venivano chiamati “Gnauli”, come gli alberi dai fiori odorosi di dolce nettare mieloso, largamente presenti nel loro paese.
Mi sento sempre di più cittadina del mondo!

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Costa est

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Acquasantiera…
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Vetrate colorate!

Entriamo un momento nella Chiesa di Koumac prima di riprendere la strada, Chiesa che ha visto tutti i passaggi religiosi nella vita dei miei giovani amici, dal loro matrimonio al battesimo e comunione del loro unico figlio; noto le belle vetrate colorate e le particolari sculture locali.
Dopo il corno di Koumac, una pietra dalla strana forma pista sopra una collina passiamo il passo di Ouegoa ed il valico di Amos arriviamo agilmente alla costa est, nel suo punto carrabile più a nord.
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Il corno di Koumac

La differenza salta subito all’occhio, questa zona e’ meno sviluppata, la strada e’ poco più di una corsia, i ponticelli che permettono di scavallare i piccoli corsi d’acqua sono minuscoli ed a destra e sinistra natura, una natura lussureggiante. Ci fermiamo sotto l’albero, un baniano, dove e’ stata celebrata la prima messa e dove il vescovo e’ stato in seguito assassinato, anche sull’isoletta di sabbia di fronte un piccolo monumento ricorda un’altro tragico episodio, metto i piedi nell’acqua del mare per fare la foto, e’ deliziosamente calda: ecco un altro angolo di paradiso che può diventare facilmente un inferno.
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Il baniano sotto il quale e’ stata celebrata la prima Messa in Nuova Caledonia; peccato il Vescovo sia stato in seguito assassinato proprio qui.

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Monumento su un isola

Passiamo per Oubatche, la nonna di Yvette era originaria di qui, data in sposa al nonno, colono francese chiamato in Nuova Caledonia per valorizzare il paese piantando caffe’ ed allevando bestiame; il capo della tribù di allora gli aveva affidato come sposa la sorella della propria moglie.
Un bagno nell’acqua della cascata di Tao, la nipote nuota in una pozza di acqua dolce profonda, fa il bagno vestita come le donne indigene di qui, siamo lontani dalla Polinesia e dalla spregiudicatezza, le donne Kanak sono sempre coperte, grandi camicioni a maniche lunghe nonostante il caldo, quasi vogliano nascondersi dalla violenza dei loro uomini.
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Nipotina nella pozza

Resto a guardia di Jean che cammina con difficolta’ e si e’ stancato molto, ha anche dimenticato a casa il suo bastone e cammina appoggiato al mio braccio: “In marina mi dicevano che le donne più gentili erano le italiane, poi le spagnole e quindi le francesi.” E’ tutto contento che qualcuno si occupi di lui!
Yvette non resiste alla tentazione ed entra nel piccolo bacino, entrare e’ facile, ma per uscire! Dovrà rotolarsi sulle rocce ed a fatica tirandosi e spingendosi arriverà ad uscire faticosamente dall’acqua: “Ehi, la signora della tribù di Oubatche non riesce ad uscire dalla pozza, bisogna tirarla fuori!” Avrei chiesto aiuto ad un gruppo di uomini intenti a fumare all’ingresso del viottolo per la cascata, davanti ai quali era passata fiera: “Ho qualcosa da dirvi, io sono la nipote di Pama, della tribù di Oubatche!” Legame molto importante: essere imparentati con un capo tribù, può aprire molte strade qui in Nuova Caledonia, dove l’appartenenza ad un gruppo fornisce l’immunità e puo’ permettere, anche ad un italiana come me, di entrare ed uscire dalle proprietà indigene senza problemi. “Rispetto signora!” La risposta dell’uomo che si e’ immediatamente alzato ed ha abbassato gli occhi davanti all’importante madame. “Yvette, immagina se dovevano tirarti fuori dall’acqua!” Tutta affannata e grondante… E ridiamo allegramente della situazione imbarazzante nella quale si sarebbe potuta trovare!
Passiamo da una riva all’altra di Ouaeme traghettando l’auto con una zattera a corda mono posto in funzione giorno e notte: “Attenzione a non cadere con l’auto nell’acqua” Si preoccupa Jean, in effetti dietro ad una curva spunta il corso d’acqua ma niente ponte!

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Il traghetto a corda
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Il conduttore del traghetto

Arriviamo a Hiengen, la giovane nipote non ha mai visto la roccia a forma di pollo, una piccola sosta per ammirare la particolare baia che ricorda le Pee Pee Island della Tailandia e continuiamo verso sud.

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Il pollo di Hiengien
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Che trio!

Di tanto in tanto un uccello ci attraversa la strada: e’ il Ral, un polletto scuro che abbassa il collo e corre veloce per non farsi investire, anche lui e’ endemico e particolare come tutto qui nella Grande Terra. A Pondimie’ faccio l’errore di non fermarmi per cercare un albergo, e’ ancora presto e posso guidare, solo ho sottovalutato un aspetto importante di questo paese: estese zone sono pericolose e questo fa si che non ci siano ne’ alberghi ne’ ristoranti… I bianchi non sono ben accetti, siamo in pieno territorio Kanaky! Anche se con noi sono tutti particolarmente gentili, sarà per la composizione del nostro gruppo, sarà per i miei sorrisi, di solito tutti ci accolgono con estrema gentilezza. Grazie a questo mio errore prima di arrivare sulla costa, dietro ad una curva il panorama si apre sull’orizzonte e le montagne sono circondate di nuvole rosa: uno spettacolo indimenticabile!

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Dormiamo a Bourail, famosa per i suoi allevamenti e per la spiaggia della roccia bucata con il Buon Uomo che le troneggia davanti, dove avevo già passato qualche giorno con un’amica, ma e’ un altro luogo con il sole e con una simpatica diversa compagnia.
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La spiaggia della roccia bucata con il buon uomo

E’ incredibile come le persone sulle quali si conta o quelle che per noi contino a volte ci sorprendano, come la mia amica Anne amica dai lontani tempi dell’Africa che mi ha riservato una pessima accoglienza a Noumea, disapprovando nel profondo questo mio viaggio: “Fra qualche anno ti chiederai cosa sei venuta a fare qui tutti questi mesi per vivere da boemienne,” invece ora che sono alla fine di questo tempo posso dire che la soddisfazione e’ tanta, gli insegnamenti ancora maggiori e conto partire e partire e partire ancora. Ho scoperto una nuova dimensione, la mia dimensione, con un piccolo bagaglio di 10 kg in giro per le isole e nei 10 kg sono compresi un sacco lenzuolo, un asciugamano, il poncho impermeabile e le mie carissime pinne gialle con la maschera dello stesso colore, per essere ben identificabile in acqua. Bastano 2 gonne, 1 vestito per cambiarsi la sera, 4 magliette, un costume e 2 parei, non serve nulla di più! E con le infradito-tonga-ciabatte-clic clac come si chiamano nei diversi paesi che ho attraversato si e’ sempre a posto! Anche in abito da sera!
E non ho voglia di rinunciare a questa dimensione che tanto mi si confa’, libera, in giro per le isole. “Non ti ho mai sentita così felice!” Ha detto mio fratello al telefono, e’ vero, sono molto felice qui, immensamente, non lascerò lo spazio per essere risucchiata in Italia, mi tratterrò il minimo indispensabile, un veloce passaggio, giusto per sistemare un po’ le cose e ripartire verso questa nuova vita che tanto mi piace.
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Dal tavolo della prima colazione

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